martedì 13 aprile 2010

COSÌ DEL NOCE SMASCHERÒ L ’ATEISMO

COSÌ DEL NOCE SMASCHERÒ L ’ATEISMO
UMBERTO GALEAZZI
In Augusto Del Noce lo studio dell’ateismo assume un valore apologetico del 'kerigma' cristiano: le ragioni dell’ateismo – disse –, proposte da più parti, non mi hanno mai convinto, sicché il procedere nella ricerca filosofica mi ha confermato, sempre più criticamente nella fede cattolica. Nel mondo contemporaneo si manifesta, secondo Del Noce, il 'carattere postulatorio' ('Il problema dell’ateismo') dell’ateismo, in quanto non è sostenuto da ragioni atte a giustificarlo, ma è frutto, come presupposto indiscutibile, di una scelta precedente l’indagine filosofica sulla realtà. Si tratta di una 'postulazione arbitraria', che non nasce da un’evidenza razionale, ma dalla pretesa dell’uomo di non essere quell’essere finito, che è, ma di essere l’assoluto o di farsi assoluto nel futuro: è il rifiuto della condizione creaturale e, quindi, della dipendenza dal Creatore. Sartre ha avuto l’onestà intellettuale di ammettere l’esito fallimentare della pretesa impossibile ('una passione inutile') dell’uomo di essere o farsi assoluto, riconoscendo che esso non si è creato da solo. Marx, invece, pretende che l’uomo si creerà perfetto, attraverso il lavoro e la prassi politica rivoluzionaria, dando vita ad una società perfetta; come se dicesse: giacché voglio che l’uomo sia creatore di sé, rifiuto il Creatore.
Ma il mito della società perfetta è andato incontro alle dure smentite della storia.
L’umanesimo ateo di Marx ha lanciato ai credenti una sfida decisiva: noi costruiremo una società perfetta, che eliminerà la religione, creando una sorta di paradiso in terra. Ma dall’esperimento (condotto a prezzo della vita di milioni di persone), invece della società perfetta, è scaturita la patria della disumanizzazione nei suoi molteplici aspetti. Non è semplicemente crollato un muro, ma tutta una visione dell’uomo, della realtà e della storia. Per una filosofia che aveva posto nella verifica storica il criterio di verità, la confutazione è clamorosa e ineludibile. Ciò che doveva confutare la religione è stato smentito e bisogna trarne razionalmente le conseguenze: se il tentativo di confutazione e di eliminazione è fallito, ciò che si intendeva confutare ed eliminare (la religione, il cristianesimo) risulta corroborato. Del Noce ci ha anche insegnato che l’esito disumanizzante dell’esperimento marxista dipende dall’opzione atea (confutando chi crede, senza conoscere i testi, che l’ateismo sia inessenziale nel marxismo).
In primo luogo perché il rifiuto ateo è anche negazione di un ordine morale superiore all’arbitrio umano; onde, ponendo come assoluto la futura società perfetta da realizzare, ci si ritiene legittimati a usare qualsiasi mezzo per conseguire la meta agognata. Si ha, così, la totale risoluzione e dissoluzione dell’etica nella politica, che diventa spregiudicata e tende a dar vita al potere totalitario. Inoltre, il rifiuto ateo è rifiuto di quel riconoscimento originario con cui Dio crea ogni essere umano perché lo vuole e lo ama, costituendolo nella sua inalienabile dignità, che esige, prima di tutto, rispetto; così quel rifiuto conduce all’annegamento del singolo uomo, considerato accidentale, nella vita del genere umano, al suo sacrificio per il mito della società perfetta. Perché Marx risolve l’uomo nei rapporti sociali, identifica l’essenza umana con il genere, negandola ai singoli uomini, la cui dignità viene trasferita nella società.

Del Noce: società radicale, che guaio!

Del Noce: società radicale, che guaio!

DI VITTORIO POSSENTI
Come ogni centenario, anche quello di Augusto Del Noce porta con sé bilanci, nuove letture e prospettive, all’insegna del «ciò che è vivo e ciò che è mor­to ». Seguendo di poco il centena­rio di Bobbio, amico e contraltare intellettuale, quello di Del Noce non avrà forse la stessa ampiezza d’iniziative ma non sarà meno si­gnificativo. Tra le varie possibilità di proseguire il suo lascito ne tocco qui una. Il problema dell’ateismo (1964), la sua opera maggiore, si incentrava sull’ateismo marxista, allora in pieno vigore ma oggi crol­lato miseramente: il «suicidio della rivoluzione», preconizzato da Del Noce, si è compiuto e accade quando il marxismo fa propria la lettura «borghese» e materialista della vita. «La ricomprensione ita­liana del marxismo attraverso la versione rivoluzionaria dello stori­cismo si risolve in una sua ricom­prensione illuministica» ( Il suici­dio della rivoluzione, 1978): il co­munismo in versione gramsciana diventa una componente sconsa­crata della società radicale, che consente allo spirito borghese di realizzarsi allo stato puro. Saint-Si­mon e Comte prevalgono su Marx e Gramsci. Il suicidio della rivolu­zione dipinto da Del Noce avviene attraverso la politica, in cui si in­tende creare l’uomo nuovo me­diante la prassi civile. L’esito è spesso stato fallimentare e sangui­noso, come nei totalitarismi. L’al­tra grande rivoluzione è quella at­traverso la scienza, e tutti siamo in grado di valutarne il successo, la potenza, e di non intravederne la fine. Essa non si suicida affatto, an­zi tenta di mettere mano sull’uo­mo e spesso ci riesce: non si auto­dissolve ma avanza promettendo benessere, salute e una quasi-im­mortalità. Caduto il marxismo, ri­mangono il relativismo morale e lo scientismo tecnologico. Dinanzi alle due forme della città degli atei, la comunista e la tecnocratica, sor­ge la domanda su quale sia la for­ma più radicale di ateismo: Marx o Comte? Ci sono buoni motivi per ritenere che l’ateismo scientistico sia più intenso, freddo e meno sog­getto a dubbi. Esso attua un tenta­tivo di mutazione antropologica attraverso le biotecnologie, una comprensione evoluzionistica dell’io come soggetto casuale, e tappa ogni minimo spazio entro cui possa sentirsi la nostalgia di Dio. L’ateo scientista non sente la mancanza di Dio come mancanza, è naturaliter irreligioso. Lo stesso problema dell’ateismo andrebbe ripensato a fondo in rapporto all’e­clissi dell’idea di Dio (e dell’uomo) che si verifica nell’attuale situazio­ne spirituale, richiedendo rinnova­te ricerche. La sequenza franco­italiana Cartesio-Pascal-Malebran­c
he- Vico-Rosmini in cui Del Noce vedeva – del resto con validi motivi – la linea della vita della filosofia moderna, non pare forse sufficien­te ad interpretare la vittoria dello scientismo e del deserto secolari­stico che esso veicola, e ad anima­re la necessaria resistenza. È natu­rale che anche il problema della secolarizzazione sia da ripensare, avvenendo essa oggi assai più at­traverso la natura e il naturalismo che attraverso la storia e lo storici­smo. La grave crisi dell’idea di Dio veicolata dall’obiezione scientisti­ca comporta l’attacco all’idea d’uomo. Lo scientismo sogna mol­to e si illude che, una volta elimi­nato Dio, sia possibile salvare in qualche modo l’uomo. Da ricorda­re sono le parole di Max Horkhei­mer: «Tutti i tentativi di fondazio­ne della morale su una saggezza di questo mondo anziché sul riferi­mento a un aldilà riposano su illu­sioni di impossibili concordanze».
Non è possibile mantenere fermo un senso assoluto senza Dio. Il marxismo teneva aperto uno spa­zio minimo – certo suo malgrado – per Dio poiché parlava d’aliena­zione e di giustizia, temi pericolosi per un ateismo conseguente. Ma lo scientismo? Esso si rifiuta di pensare. Sembra una frase ad ef­fetto ma è la pura verità quando u­no consideri le poche righe in cui Richard Dawkins vorrebbe liquida­re il problema Dio, e non fa altro che dipingere la sua completa in­consapevolezza filosofica del tema (cfr. L’orologiaio cieco ). Ora per ri­prendere alla base questi problemi ci si deve fondare su una filosofia che sia in potenza attiva verso il fu­turo, e Del Noce la individuò verso la fine della vita. Nel Giovanni G entile (1989) scrisse che lo scacco dell’idealismo riapriva la possibi­lità storica della filosofia dell’esse­re, ritrovata in specie attraverso Gilson. Così egli si ricongiungeva implicitamente alle idee di Felice Balbo che intorno agli anni ’60 a­veva con singolare acume specula­tivo indicato nella filosofia dell’es­sere di Tommaso la linea della vita del filosofare, nonostante le diver­sità di valutazione tra i due amici su non pochi punti: uniti però nel dare il primato a quel tomismo esi­stenziale (Maritain, Gilson, Fabro) che è il frutto migliore della filoso­fia dell’essere del XX secolo. Essi anticipavano il giudizio della Fides et ratio , secondo cui tale filosofia, fondata sull’atto stesso dell’essere, è aperta a tutta la realtà sino a rag­giungere Colui che a tutto dona compimento. Del Noce ha dunque indicato nella filosofia dell’essere l’edificio intellettuale che riapre il cammino dopo la crisi del neoi­dealismo gentiliano; diagnosi che andrebbe completata indicando nella stessa filosofia (e antropolo­gia) quella che può superare Com­te e il suo assoluto ateismo. Questo compito è lasciato a noi, insieme alla valorizzazione del realismo, che Del Noce colse ma non ebbe tempo di completare.
30 marzo 2010